La nascita del governo Gentiloni è, a tutti gli effetti, la
dimostrazione che non può essere il referendum lo strumento per opporsi
alle politiche di spoliazione e depauperamento dei ceti popolari.
Il governo Gentiloni porterà avanti le stesse politiche del governo
Renzi, politiche fatte di attacco alle condizioni di vita dei
lavoratori. La nomina di Gentiloni fa giustizia dell’illusione che potrà
essere il meccanismo della rappresentanza e della delega a fermare le
attuali politiche sociali, politiche che si inseriscono nel solco di
trenta anni di decisioni sulla strada dell’attacco spietato nei
confronti delle precedenti conquiste sociali.
L’idea di poter invertire la rotta delle politiche sociali dello stato
italiano puntando sulla caduta di Renzi si è scontrata con la realtà: il
PD ha sostituito il pilota perdente con un altro che riceverà gli stessi
ordini di scuderia.
In molti si sono concentrati sulla campagna di opposizione alla riforma
costituzionale sostenendo la costituzione italiana come baluardo alla
difesa delle classi popolari. Ma, ricordiamo, non vi fu bisogno di
cambiare la costituzione per abolire la scala mobile, imporre leggi
anti-sciopero, con l’attiva collaborazione dei sindacati confederali,
compresi quelli che ora si lanciano nell’ennesimo referendum, quello sul
Jobs Act, per approvare il pacchetto Treu o la Legge Biagi. Le politiche
sociali ed economiche dei governi si sono inserite in una linea di
continuità che le accomuna a quelle fatte in tutti i paesi occidentali,
rispondono a meccanismi strutturali di un’economia che si basa sul
profitto, sul ciclo della merce, sulla limitazione delle libertà
individuali e collettive e sulla distruzione dell’ambiente.
Come abbiamo già ribadito e come insegna la storia dei movimenti sociali
solamente il ricorso ad una costante mobilitazione dal basso e senza
deleghe può ostacolare queste politiche. Non sarà un referendum a
emanciparci.
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